Io sono un supereroe. Sono l’uomo di ghisa. Come faccio a saperlo vi chiederete, ebbene, non ho alcun problema a rispondere e a soddisfare qualsiasi curiosità a riguardo. Tutto è cominciato in terza media, nel millenovecentonovantatrè, durante il rinfreschino di fine anno svoltosi presso la spettabile aula terza D dell’istituto professionale R. Gullit di Macerata. Dopo aver mangiato uno o più pasticcini, panini, pizzette, tortini, canditi, caramelle, girelle, patatine, arachidi, olive, crostatine, insalata di riso, tiramisù, calzoncini fritti e aver bevuto tanta Fanta e Coca Cola Light me ne stavo come al solito seduto al mio banco posto in prima fila, lato termosifone, proprio all’opposto della finestra grande che si affacciava sul papayo sito in giardino. I miei compagni come al solito schiamazzavano e si rincorrevano in classe tirandosi dietro palline di carta, lapis e pezzi di gomma pane parzialmente masticata. Erano tutti adolescenti assai irrequieti al contrario di me che di solito preferivo passare la ricreazione e i momenti di cambio professore fra una lezione e l’altra seduto al banco a sbirciare con la coda dell’occhio ogni movimento di Lorenziana Bubaldi, il mio amore stellare posto in seconda fila centrale. La amavo con tutto il mio cuore di maionese e avrei così tanto voluto abbracciarla che al solo pensiero le guance mi andavano in fiamme e gli occhi si appannavano. Cristo santo quanto avrei voluto tenere per mano Lorenziana, annusare il suo collo e sbirciare sotto la sua sottana. Quanto avrei voluto vedere nei suoi occhi i segni di una irrefrenabile passione verso la mia persona e il mio corpo. Ma ciò risultava altresì tendente a impossibile dato che io a tredici anni pesavo centosei chili e venivo chiamato da tutti Culo di bue. Quel giorno alla festa mi trovavo dunque immerso nei miei sogni e alternavo le fantasie ad occhi chiusi con piccoli intervalli di realtà in cui con gli occhi stretti a feritoia scrutavo Lorenziana per trarne nuovi particolari da aggiungere immediatamente al sogno, un po’ come per riprendere ossigeno prima di una nuova immersione. Sprofondato nella mia estasi non feci caso al silenzio improvviso che ad un tratto doveva essere calato sulla classe e quando Juri Merdosi, Mirko Puttani e Danilo Maelstrom da dietro mi afferrarono per gettarmi a terra e insalsicciarmi dentro uno spesso strato di carta stagnola non riuscii ad opporre la minima resistenza, ero come una specie di cadavere con gli occhi impazziti. Quando riuscii a rimettermi in piedi vidi che tutti i miei compagni di classe si erano fatti intorno a me e ridevano, battevano le mani e urlavano: “Culo di buie è diventato di ghisa, Culo di bue si è fuso con la ghisa”. Tutti ridevano e mi indicavano, alcuni iniziarono anche a gettarmi addosso le olive avanzate e le poche pizzette che la mia fame aveva risparmiato incitandomi a finire l’opera, a ripulire anche le ultime briciole dal tavolo. Sulla porta vidi anche la professoressa Cotoletti di educazione tecnica, indossava il solito tailleur grigio e sorrideva con una mano davanti alla bocca che era solita ricamare con un rossetto lilla. Dopo il primo stupore e aver barcollato come un automa iniziai a strapparmi di dosso la mia nuova armatura di carta stagnola, partii dalla pancia e dalle braccia e scesi giù fino alle gambe. Tolsi via tutto tranne lo strato che mi copriva la faccia a cui i miei compagni di classe avevano avuto l’accortezza di praticare dei fori rispettivamente per gli occhi e per le narici tralasciando però di creare un orifizio per la bocca. Mentre stavo per disfarmi anche di questo rudimentale elmo vidi Lorenziana ridere a crepapelle appoggiata un poco alla cattedra e molto alla spalla del Puttani. Fu allora che mi fermai e decisi di non togliermi la maschera, mai più. Da quel momento sono diventato l’Uomo di ghisa e vi garantisco che nella mia cameretta tutti lo sanno che io sono un supereroe, anche il Dottor Falqui lo ha dovuto ammettere visto che da qualche settimana ho smesso di piangere quando mi fa le punture nel culo che fanno malissimo e uno normale, senza superpoteri cioè, col cavolo che ce la farebbe a non piangere.