Archivio mensile:settembre 2009

Pulviscolare

Sono sceso alle macchinette nel sottosuolo e "solo bicchiere" era finito così ho preso un caffè e poi l’ho gettato nel lavandino del bagno che sulla porta ha l’adesivo della carrozzina, quello che ha la tazza del wc più ampia e confortevole. Ho sciacquato il bicchiere e poi me lo sono inserito nelle mutande fresco e pulito, solo l’odore di caffè tradiva un poco la sua origine. Alla mia postazione c’era silenzio, non so se a fine mese il mio contratto di lavoratore pulviscolare verrà rinnovato, certo è che il capo mi stima abbastanzina, oggi mi ha preso da una parte e mi ha dato in mano un foglietto accartocciato, dentro c’era del cerume ed un cerotto insanguinato. Allora ho deciso di aggiornare il curriculum di quello che sono io ed ho scritto: "sono un bravo bimbo."

Domani lo invierò alle Aziende che sono grandi.

Parole 278, Caratteri 1653

Stamani mi sono svegliato nel letto. Come prima cosa ho appoggiato una determinata quantità (2) di arti inferiori sul pavimento e li ho utilizzati per andare a lavoro. Il giorno è trascorso quasi del tutto (nove decimi) mentre io lavoravo. Durante il lavoro ho guardato diverse (16) volte fuori dalla finestra. In una (1) occasione fuori dalla finestra c’era un uccellino, in numero di uno, che ha fatto “cìp” alquanto a lungo (12 secondi). Dopo un poco (1′ 14”) risultava evidente alla mia coscienzialità che l’uccellino non volesse niente di particolare da me. Oggi non ho conosciuto persone nuove, ho enunciato 3 battute sarcastiche e 1 cosa intelligente. Ho fatto anche abbastanza errori (7) sia di grammatica (3) che di logica (4). Due di essi me li sono perdonati, sugli altri cinque ho riflettuto mestamente per tutto il pomeriggio senza concedermi pace. Non nego di aver effettuato della cacca in un occasione e di averne approfittato per espellere molti centilitri di urine (400cc). Una ragazza nel corridoio mi ha sorriso quando gli ho rivolto un “ciao”. Domani, se la incontro di nuovo, intendo dirle “ciao ciao” perché vorrei due sorrisi.
Alla fine dell’orario di lavoro ho estratto due arti superiori dal camice e li ho riposizionati lungo i fianchi. Ho lasciato il camice in una stanza in cui vi era un attaccapanni, un tavolo e una certa quantità di sedie (9). Ho utilizzato i miei due sistemi di locomozione congeniti per tornare a casa (546 passi, un treno regionale e altri 775 passi). Ho passato l’ultimo decimo della giornata solare insieme alla mia mamma (che è un pettine) a preparare la divisa nel mezzo per il giorno successivo.

Il piede piccolino senza scarpa alla fermata del bus.

Quella mattina il mio coinquilino mentre surgelava carpe elicoidali mi annunciò che se ne sarebbe andato a fare dei lanci col paracadute nei prati adiacenti alla zona industriale. Me lo disse sorridendo fiero, lasciando il discorso quasi in sospeso per dare spazio ad una mia presunta invidia, doveva sentirsi un eroe ed un prescelto. Io mi allontanai cercando di liberarmi dall’odore delle carpe pescate con la dinamite e per l’ennesima mattina mi esposi ad intemperie e vissi le mie circostanze disadorne. Poi si fece sera e d’un tratto tutto intorno era un bellissimo autunno. Alla fermata dell’autobus un tipo con gli occhi da gallo ed un bozzo sul collo mi chiese di avvicinarmi e di fargli vedere il "piede piccolino senza la scarpa per favore".

Posacenere

Ho deambulato. Poi era sera e mi sono ritrovato qui seduto ad un tavolo con della birra davanti e una cameriera che vaga senza sosta attorno ai tavoli circolari a svuotare posacenere e portar via bicchieri prosciugati. Oggi in ufficio gli argomenti tra un ammiccamento e l’altro hanno ruotato attorno a carriere invidiate e sesso, a chi ne effettua di più e meglio, come sempre.
Dopo pranzo fuori dalla mensa distribuivano borracce col logo aziendale, verdi e di plastica, è per uno scopo ecologico. Io non l’ho ricevuta perché sono un lavoratore emergenziale. Stasera prima di andare a letto, davanti allo specchio mangerò briosce.

Gusci di vipera

 

A casa di Leonardo che è quasi mezzanotte, seduti  mezzi sul divano, mezzi sul tappeto, un occhio al televisore senza audio ma acceso per via del movimento di colori, seduti un po’ in terra, un po’ sui talloni, a parlare di tutto quello che viene in mente, giusto per non dire la verità, per non restare nel silenzio.

“Devo tornare a visitare i luoghi del mio primo viaggio, devo chiudere i conti con le mie fantasie sospese”.

Seduti un po’ in braccio ai mobili, semistesi come gusci di vipera tra i licheni.

 “Hai visto com’è diventato grasso Michele? Forse tra 10 anni ad un calcetto aziendale mentre a fatica cercherà di controllare il pallone, qualcuno da uno spalto deserto dirà ad uno sconosciuto che da giovane era forte, che batteva bene le punizioni sul primo palo. Sotto la doccia allora Michele osservandosi i rotoli di grasso attorno alla vita penserà che è l’età, che è per tutti così, il tempo che ti frega anche se da piccolo sapevi battere bene le punizioni. Poco importa che il primo palo fosse il bidone dell’immondizia, un tiglio o un maglione scolorito della prima comunione.

Matrimoniale

Quella sera si concesse perfino il lusso di ordinare una fetta di crostata all’albicocca al termine della cena e poi, pagato il conto per entrambi, si era ritrovato steso dalla sua parte di quell’ampio letto matrimoniale che quelli dell’albergo avevano incastrato a forza tra un misero frigobar ed una mensola carica di libri finti. Steso sul materasso con gli occhi e i pugni chiusi, come strizzati, pensava che forse era ancora  possibile rimandare all’indomani tutta quella faccenda, che forse avrebbero capito che la situazione alla fine era meno grave di come non appariva adesso e allora si sarebbero entrambi tranquillizzati, avrebbero trovato il coraggio di guardarsi, di dire una parola. Rimasero in silenzio. Allora lui si addormentò, inerme, deciso a non muoversi per niente al mondo, svuotato di tutto, si sarebbe lasciato trucidare ma non avrebbe mosso un dito. Per un tempo che sembrò una vità sognò di essere suo nonno, di vivere nella vecchia casa in montagna negli anni della guerra e di essere sereno nonostante le bombe, tranquillo nonostante tutto a causa di una ricca scorta di patate tenute nascoste nel materasso. Si svegliò che era ancora notte, gli era parso di sentire dei lamenti e le chiese se andasse tutto bene, la supplicò di rispondere, disse che lo sapeva che era rimasta sveglia tutto il tempo. Ancora non osava muoversi, non osava guardarla. Le chiese ancora di dire qualcosa, "Ti prego amore, dimmi qualcosa. Parlami. Te lo giuro, non ti chiamerò più "mamma, mammina mia" mentre ti accarezzo e ti soffio dentro, mentre ti vesto coi tuoi abiti a fantasie floreali". Passarono poi alcuni minuti in cui il silenzio fu di nuovo totale quindi lui si alzò ed andò fino alla valigetta di pelle nera appoggiata al vaso con le piume di pavone. L’aprì con un solo movimento e ne estrasse un paio di guanti in lattice, una siringa ed un sacchetto nero di quelli per l’immondizia. Quando l’ago le perforò la fronte lui fischiettava, lei invece rimase decisamente in silenzio. Subito però l’aria cominciò a soffiarle via forte dalla testa. Fu quando le vide la bocca pian piano appassire che ebbe un sussulto e si ricompose e fu allora che aprì la valvola che lei teneva nascosta sotto un calzino bianco di spugna. Le si stese sopra, l’abbracciò più forte che poteva rotolandosi da una parte all’altra del letto, lei si faceva sempre più sottile, scompariva tra le sue braccia. Uscì in strada che da poco c’era luce, il vento era freddo, poco dopo rallentando per gettare al di là del guardrail il sacchetto nero dal finestrino ripensò al ghigno sfacciato che il portiere dell’hotel gli aveva riservato nel momento in cui aveva saldato il conto della matrimoniale.